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funghimundi

Consiglio Direttivo 2022
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  1. spero di non fare il maleducato e andare a slutarlo quanto prima; alemno quello in alto perchè quello più a tiro ho intenzione di vederlo spesso ..... :wink:
  2. a me pù che faggio puro pare fungo bianco .... :biggrin: ok .... mi punisco da solo
  3. esatto! Lentinellus in questo caso però la forma orizzontalis ... :biggrin:
  4. il piccolo Angelo allattato nel bosco è davvero uno spettacolo! anche i funghi non sono male ....
  5. citando una canzone dell'ottimo Branduardi " ... è lei la bella dama senza pietà ..."
  6. Daniele sei davvero bravo e geniale! Per quanto mi riguarda anche questo racconto potrebbe far parte "alla grande" di prossima attività didattica però mi devi dire come diavolo hai fatto a fare la foto della lampadina accesa
  7. belli Rossa' solo che mo' me toccherà organizzamme per "quattro funghi quatto" .... :wink: .. pensandoci bene potre anche impegnarmi in tal senso
  8. mi sa che ne vedremo dell belle se questo è l'inizio .... bravo omonimo e benvenuto!
  9. ah, dimenticavo: ti cito per plagio del titolo :biggrin:
  10. speriamo che non sia finita al mio appello mancano totalmente galletti e trombette e se poi si incrementasse qualche bitorzolo ...... gran foto Mastro Andrea!
  11. dopo essermi ripreso dallo stupore ti dico un grande grazie quello che hai mostrato è veramente sorprendente! c'è da essere orgogliosi di APB (ovviamente senza il tuo personale impegno nulla di tutto quseto sarebbe possibile ....) grande Arturo! una piccola cosa: quelle stufette i tubi dei fumi con quelle curve e anche con tratti discendenti son davvero pericolosi e mica poco: i bambini son piccoli e stanno in basso giusto come il micidiale monossido di carbonio... con molto poco si potrebbero sostituire con raccordi a 45 o 60 gradi che grantiscono una sicurezza decisamente maggiore; basta sapere il diametro preciso ...
  12. Il Vajont scende nella sua valle sconvolta, si infratta sotto la terra caduta dal Toc; laggiù, dove una volta gorgogliava l'acqua selvaggia oggi condensa l'alito del drago che inghiottì duemila vite, una sera di quasi cinquant'anni fa. Scendere dalla montagna è compimento di viaggio, è tornare a baita, è riflessione di andare ritmato. E mentre in discesa dimentico lo sforzo del salire, il ricordo m'assale; e mi strugge di nostalgia e fatica. Marco
  13. Casso ed Erto dimenticate, che vidi allora, non ci sono più; il bar K2 è ristrutturato, il parcheggio da basso frequentato e dotato di regolare parchimetro, la scritta sul muro dedicata ai coscritti del '63 (!) scomparsa. Diverse case del paese vecchio di Erto son ristrutturate, altre in corso di sistemazione. Penso che questo sia in assoluto positivo ma al tempo stesso mi chiedo se l'oblio colpevole durato decenni non poteva essere sostituito da un ricordo consapevole di cui le pietre e i legni delle vecchie case avrebbero potuto essere testimoni imperituri. Forse tra qualche anno avremo un 'bel paesino' di montagna nel quale case vacanze, b&b, e simili avranno definitivamente seppellito la tragedia di mezzo secolo fa. Son perplesso. Forse il ricordo vagherà nel vento; lo stesso vento che oggi solleva i colorati tessuti che recano i nomi dei bimbi che non videro il giorno dopo l'onda.
  14. Tappa 2 E' lungo, molto lungo, l'andare dall'altipiano alla diga maledetta che sbarra la strada al torrente che ha scavato nei millenni una gola profonda per gettarsi a valle: il Vajont. Si risale il Brenta, si costeggia il Grappa, si buca la montagna per cambiare valle, il Cismon e poi finalmente il Piave, sacro alla Patria, da risalire fino a Longarone. Da qui si vede la diga che, scavalcata dalla montagna d'acqua e di fango, ha retto l'urto immane: potenza di calcolo, ferro e cemento. Per salire lassù, nella valle sospesa tra le montagne, sembra di andare altrove; la forra è di la, la devi aggirare da nord, prenderla larga per arrivare a sfiorare il mostro attraverso rocce umide e forate. E' un percorso coerente con la pervicace dimenticanza dei fatti, dei motivi, dei drammi. Lo dicevo all'inizio: ricordare è fatica, a volte addirittura pena. E allora è meglio, più facile, rimuovere. Prima tramite la sostituzione del paese nuovo al posto del paese vecchio, poi attraverso l'oblio di cose, case e genti abbandonate, infine con la trasformazione e cioè le ristrutturazioni grazie a denari che vengono da lontano, da un Europa mai parte di questa italica storia. Ma andiamo per gradi. Salii quassù la prima volta quasi 10 anni fa e la cosa alla quale non ero preparato, che il mio cervello rifiutava come impossibile, era, come ancora è, la “montagna” al posto del vuoto subito a monte della diga. Il bosco pian piano si riprende il possesso della terra che scivolò quaggiù, una notte di ottobre di 49 anni fa.
  15. Il giorno dopo finalmente un po' di luce accompagna il nostro attraversare l'altipiano da ovest verso est. Mentre ci spostiamo tra foreste e pascoli ci ripromettiamo di tornare per un tempo più lungo che ci consenta il viaggiare lento che ora ci neghiamo. I boschi son finalmente vestiti di luce autunnale: che meraviglia! Poiché siamo in alto ci affacciamo dove si scende, da secoli: la “calà del sasso”. Un'impresa immane che potrebbe figurare tra le meraviglie dell'umanità, almeno di quella operosa e perlopiù silente. Quattromilaquattrocentoquarantaquattro gradini! Una via per scendere uomini e tronchi dall'alto dei boschi al basso dei mari. Solo immaginare la sforzo di chi ha fatto quest'opera è fatica che richiede rispetto.
  16. Tappa 1 L'altipiano di Asiago, terra di vite dure e isolate delle quali Mario Rigoni Stern ha lungamente narrato, lo saliamo di sera dalla val d'Astico su per l'impressionante provinciale 78 del Piovan, opera d'ingegno e fatica d'altri tempi. Un cinghiale osserva la Yeti arrancare sotto la pioggia; dopo 17 tornanti, alcuni rubati alla parete di roccia, siamo in altopiano, comune di Rotzo, nel territorio dei sette comuni dove “non esistono castelli di nobili, non esistono ville di signori, né cattedrali di Vescovi, per il semplice fatto che la terra è del popolo e i suoi frutti sono di tutti come ad uso antico”. Nella sera piovosa attraversiamo abitati all'apparenza deserti, poi saliamo e ci infiliamo nel bosco dove l'acqua cede il passo alla neve che ci accoglie al rifugio: davvero un bel “benvenuti”! La luce del primo novembre si addice al periodo e la neve notturna è tornata acqua; pazienza. Ad Asiago si va sotto una pioggerellina inesorabile. Nell'accogliente libreria centrale diamo tregua agli ombrelli e acquistiamo un paio di interessanti pubblicazioni. Poi sulle tracce del sergente rompo un'astinenza che durava da 35 anni e cioè dal mio 18° compleanno tempo dal quale mi sottrassi all'usanza familiare di visitar cimiteri. Quello di Asiago pare degno dello spazio che lo circonda ed è in maggioranza la terra ad accogliere chi è andato avanti. Nonostante qualche indicazione ricevuta, la tomba di Mario Rigoni Stern ci rimane ignota sebbene diversi omonimi totali o parziali ci abbiano illuso; pazienza, la sua normalità e riservatezza lo accompagnano ancora, paesano tra paesani, nella nuda terra sotto una croce di legno. Piove forte quando usciamo su un altra traccia: l'omonima contrada dove viveva ai bordi del bosco. Li tutto è normalità. Le contrade Rigoni di sopra e di sotto son popolate di broli, alberi, orti, famiglie che danno il nome ai toponimi. Chiedo a un anziano, che ci accompagna e racconta brevemente il mondo di api, alberi, caccia e passeggiate del Mario. Salutiamo con emozione la casa rosa dove vive Anna; senza avvicinarci troppo. Si pranza al Termine, luogo “mancato” da alcuni di noi, dove cucina e ambiente ti fanno davvero contento di essere li. Dopo pranzo una timida luce accende a tratti l'alta valle d'Assa le cui acque raccolte dal passo Vezzena, scompaiono presto inghiottite dall'avida roccia carsica. Nella breve salita verso malga Galmararetta un raggio di sole perfora la valle; ed è presto sera nell'umido bosco.
  17. Vivere la montagna è il bel titolo di questa sezione che amo e dalla quale haimé son troppo spesso lontano; vi sono volte tuttavia nelle quali mi è dato affacciarmi non solo per gioire di quanto voi raccontate ma per ricordare finalmente momenti e luoghi dei quali ho fatto parte. Spazi e tempi legati da fili sottili di cui la memoria è la trama, ai quali mi accosto con entusiasmo e timore di amante inesperto. Il percorso è fatica, ma di più è il ricordo. Questa è oggi la pista sulla quale spargo sudore; è un sentiero variato, come s'addice ai monti, nel quale ho gioito e sofferto. Ho camminato fisicamente poco, quasi nulla; ma ho ascoltato, visto, sentito e respirato su monti carichi di significati e storie. Grazie a Paola e insieme a Michele ed Alice abbiamo trascorso i giorni recenti, quello del mio cinquantatreesimo compleanno e dintorni, in luoghi per diversi motivi noti e belli. Ora, qui, insieme a voi li ricordo.
  18. funghimundi

    biancone

    purtroppo è la sua volta a pagare lo scotto del bracconaggio: qui abbattimenti come questo e cioè di individui dotati di trasmettitori, impongono una riflessione sulla reale dimensione del fenomeno degli abbattiementi di rapaci ovviamente illegali la cui consistenza, nonostante gli sfrozi per contrastarlo, è haimè impressionante a titolo di esempio: di 5 (cinque) capovaccai recentemente rilasciati con radio satellitare in Puglia 2 (due) sono stati abbattuti e cioè il 40% (quaranta per cento) intollerabile
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