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funghimundi

Consiglio Direttivo 2022
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  1. Casso ed Erto dimenticate, che vidi allora, non ci sono più; il bar K2 è ristrutturato, il parcheggio da basso frequentato e dotato di regolare parchimetro, la scritta sul muro dedicata ai coscritti del '63 (!) scomparsa. Diverse case del paese vecchio di Erto son ristrutturate, altre in corso di sistemazione. Penso che questo sia in assoluto positivo ma al tempo stesso mi chiedo se l'oblio colpevole durato decenni non poteva essere sostituito da un ricordo consapevole di cui le pietre e i legni delle vecchie case avrebbero potuto essere testimoni imperituri. Forse tra qualche anno avremo un 'bel paesino' di montagna nel quale case vacanze, b&b, e simili avranno definitivamente seppellito la tragedia di mezzo secolo fa. Son perplesso. Forse il ricordo vagherà nel vento; lo stesso vento che oggi solleva i colorati tessuti che recano i nomi dei bimbi che non videro il giorno dopo l'onda.
  2. Tappa 2 E' lungo, molto lungo, l'andare dall'altipiano alla diga maledetta che sbarra la strada al torrente che ha scavato nei millenni una gola profonda per gettarsi a valle: il Vajont. Si risale il Brenta, si costeggia il Grappa, si buca la montagna per cambiare valle, il Cismon e poi finalmente il Piave, sacro alla Patria, da risalire fino a Longarone. Da qui si vede la diga che, scavalcata dalla montagna d'acqua e di fango, ha retto l'urto immane: potenza di calcolo, ferro e cemento. Per salire lassù, nella valle sospesa tra le montagne, sembra di andare altrove; la forra è di la, la devi aggirare da nord, prenderla larga per arrivare a sfiorare il mostro attraverso rocce umide e forate. E' un percorso coerente con la pervicace dimenticanza dei fatti, dei motivi, dei drammi. Lo dicevo all'inizio: ricordare è fatica, a volte addirittura pena. E allora è meglio, più facile, rimuovere. Prima tramite la sostituzione del paese nuovo al posto del paese vecchio, poi attraverso l'oblio di cose, case e genti abbandonate, infine con la trasformazione e cioè le ristrutturazioni grazie a denari che vengono da lontano, da un Europa mai parte di questa italica storia. Ma andiamo per gradi. Salii quassù la prima volta quasi 10 anni fa e la cosa alla quale non ero preparato, che il mio cervello rifiutava come impossibile, era, come ancora è, la “montagna” al posto del vuoto subito a monte della diga. Il bosco pian piano si riprende il possesso della terra che scivolò quaggiù, una notte di ottobre di 49 anni fa.
  3. Il giorno dopo finalmente un po' di luce accompagna il nostro attraversare l'altipiano da ovest verso est. Mentre ci spostiamo tra foreste e pascoli ci ripromettiamo di tornare per un tempo più lungo che ci consenta il viaggiare lento che ora ci neghiamo. I boschi son finalmente vestiti di luce autunnale: che meraviglia! Poiché siamo in alto ci affacciamo dove si scende, da secoli: la “calà del sasso”. Un'impresa immane che potrebbe figurare tra le meraviglie dell'umanità, almeno di quella operosa e perlopiù silente. Quattromilaquattrocentoquarantaquattro gradini! Una via per scendere uomini e tronchi dall'alto dei boschi al basso dei mari. Solo immaginare la sforzo di chi ha fatto quest'opera è fatica che richiede rispetto.
  4. Tappa 1 L'altipiano di Asiago, terra di vite dure e isolate delle quali Mario Rigoni Stern ha lungamente narrato, lo saliamo di sera dalla val d'Astico su per l'impressionante provinciale 78 del Piovan, opera d'ingegno e fatica d'altri tempi. Un cinghiale osserva la Yeti arrancare sotto la pioggia; dopo 17 tornanti, alcuni rubati alla parete di roccia, siamo in altopiano, comune di Rotzo, nel territorio dei sette comuni dove “non esistono castelli di nobili, non esistono ville di signori, né cattedrali di Vescovi, per il semplice fatto che la terra è del popolo e i suoi frutti sono di tutti come ad uso antico”. Nella sera piovosa attraversiamo abitati all'apparenza deserti, poi saliamo e ci infiliamo nel bosco dove l'acqua cede il passo alla neve che ci accoglie al rifugio: davvero un bel “benvenuti”! La luce del primo novembre si addice al periodo e la neve notturna è tornata acqua; pazienza. Ad Asiago si va sotto una pioggerellina inesorabile. Nell'accogliente libreria centrale diamo tregua agli ombrelli e acquistiamo un paio di interessanti pubblicazioni. Poi sulle tracce del sergente rompo un'astinenza che durava da 35 anni e cioè dal mio 18° compleanno tempo dal quale mi sottrassi all'usanza familiare di visitar cimiteri. Quello di Asiago pare degno dello spazio che lo circonda ed è in maggioranza la terra ad accogliere chi è andato avanti. Nonostante qualche indicazione ricevuta, la tomba di Mario Rigoni Stern ci rimane ignota sebbene diversi omonimi totali o parziali ci abbiano illuso; pazienza, la sua normalità e riservatezza lo accompagnano ancora, paesano tra paesani, nella nuda terra sotto una croce di legno. Piove forte quando usciamo su un altra traccia: l'omonima contrada dove viveva ai bordi del bosco. Li tutto è normalità. Le contrade Rigoni di sopra e di sotto son popolate di broli, alberi, orti, famiglie che danno il nome ai toponimi. Chiedo a un anziano, che ci accompagna e racconta brevemente il mondo di api, alberi, caccia e passeggiate del Mario. Salutiamo con emozione la casa rosa dove vive Anna; senza avvicinarci troppo. Si pranza al Termine, luogo “mancato” da alcuni di noi, dove cucina e ambiente ti fanno davvero contento di essere li. Dopo pranzo una timida luce accende a tratti l'alta valle d'Assa le cui acque raccolte dal passo Vezzena, scompaiono presto inghiottite dall'avida roccia carsica. Nella breve salita verso malga Galmararetta un raggio di sole perfora la valle; ed è presto sera nell'umido bosco.
  5. Vivere la montagna è il bel titolo di questa sezione che amo e dalla quale haimé son troppo spesso lontano; vi sono volte tuttavia nelle quali mi è dato affacciarmi non solo per gioire di quanto voi raccontate ma per ricordare finalmente momenti e luoghi dei quali ho fatto parte. Spazi e tempi legati da fili sottili di cui la memoria è la trama, ai quali mi accosto con entusiasmo e timore di amante inesperto. Il percorso è fatica, ma di più è il ricordo. Questa è oggi la pista sulla quale spargo sudore; è un sentiero variato, come s'addice ai monti, nel quale ho gioito e sofferto. Ho camminato fisicamente poco, quasi nulla; ma ho ascoltato, visto, sentito e respirato su monti carichi di significati e storie. Grazie a Paola e insieme a Michele ed Alice abbiamo trascorso i giorni recenti, quello del mio cinquantatreesimo compleanno e dintorni, in luoghi per diversi motivi noti e belli. Ora, qui, insieme a voi li ricordo.
  6. funghimundi

    biancone

    purtroppo è la sua volta a pagare lo scotto del bracconaggio: qui abbattimenti come questo e cioè di individui dotati di trasmettitori, impongono una riflessione sulla reale dimensione del fenomeno degli abbattiementi di rapaci ovviamente illegali la cui consistenza, nonostante gli sfrozi per contrastarlo, è haimè impressionante a titolo di esempio: di 5 (cinque) capovaccai recentemente rilasciati con radio satellitare in Puglia 2 (due) sono stati abbattuti e cioè il 40% (quaranta per cento) intollerabile
  7. mi pare si tratti con evidenza di tre individui diversi e vista la natura dell'immaggine tutt'altro che usuale la vedo dura di un singolo autore se così fosse rimangono le considerazioni sul "simpatico ladruncolo"
  8. comunque davvero un gran bel colore!
  9. potrebbe essere Cortinarius cinnabarinus ?
  10. sarei grullo pur'io maremma fungina! è troppo tempo che non si va insieme, bisognera che venga a dare un'occhiata .... ... a codeste bariste :wink:
  11. ecco, la prossimavolta vedi di organizzarti in tal senso :biggrin: ottime immagini!!
  12. ciao Andrea si chiama spirotromba ed è una struttura tipica degli adulti di lepidotteri, le farfalle appunto ed anche le falene; in pratica un tobo con il quale succhiare il nettare, cioè la secrezione zuccherina prodotta dai fiori di molte piante ad impollinazione entomofila, cioè affidata agli insetti, per attirare gli indispensabili parter cui affidano la propria riproduzione sessuata ricordi di entomologia, bellissimo esame sostenuto ..... circa 30 anni or sono.....
  13. sinceramente questi due, unici di questa satgione, non li cambierei ma da qui in avanti son disposto a parlarne: eccome :wink:
  14. due, solo due ma abbastanza per chiudere un desiderio
  15. ieri pmeriggio dopo una settimana di lavoro impegnativa e una mattinata altrettanto in croce rossa, passeggiatina defaticante in collina senza "tema", ne animali, ne funghi, ne altro solo la voglia di andare nel mio breve vagare vicino al torrente seguo il tasso e la sue orme sin quasi alla sua tana; anche il grande cervo è passato di qui, come il sospettoso capriolo nei lembi di bosco adiacente molti funghi fan capolino; mi sposto più in alto tra vecchi castagneti abbandonati; ci son ragazzi che ridono e ormai è l'ora in cui la luce soffusa di ottobre fatica a penetrare il bosco anche qui fiorito del giallo corallo delle ramarie, del verde tenue dell'amanita mortale, del rosso acceso di qualche russola, del bianco smagliante di funghi a me semisconosciuti, di infinite tonalità di bruno tra queste una mi attira son finalmente neri! rarissimi gioielli di questa parte di appennino, che infine si mostrano
  16. in effetti Marci anche a un omaccione come me sentire i versi finali del cinghialino ha fatto un certo effetto
  17. funghimundi

    Ibis

    eccole fotografate qualche anno fa
  18. ma che punirla Egregio Professore; la sua scienza meriterebbe alti riconoscimenti e idonee platee anzi, se Ella vuole, mi onorerebbe partecipare a cotanta spiegazione potrei anche portare un paio di bocce per aiutare il 'capisso' ....
  19. terminato da poco: ottima lettura! sono documentati (anche nel libro di cui sopra) diversi episodi di frequentazione lupina di luoghi abitati sul movente fame intesa come animale affamato costretto dalla mancanza di cibo ad avventurarsi nei pressi delle case dell'uomo dove il cibo invece c'è sarei molto cauto; molte leggende ruotano intorno a presupposti simili quello che invece è sicuro è che nonostante tali frequentazioni, a volte episodiche a volte più o meno continuative, i segni di presenza rimangono davvero scarsi o anche del tutto assenti
  20. bah a quanto pare questo topic sta sollecitando un sacco di aspetti e ciò mi garba a cominciare dalle ottime considerazioni di Daniele; sulla specie Sus scrofa (condivisa da maiale e cinghiale e che non finirò mai di ringraziare abbastanza ...) nella sua forma selvatica si dicono un sacco di cose non sempre precise e la letteratura scientifica e conoscitiva solo di recente sta inquadrando meglio la "bestia" e la sua ecologia faccio solo un appunto sulla proliferazione argomento del quale si è già discusso anche in forum; mica dappertutto le poplazioni sono in fase di espansione in diversi ambiti territoriali sono in netto regresso; il perchè di questo è probabilmente riconducibile a fattori diversi quello che è certo è che, come tutte le poplazioni di esseri viventi, è soggetta a dinamiche a volte davvero difficili da comprendere ...
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