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  1. Lactarius indigo (Schweinitz) Fries Epicr. syst. mycol. (Upsaliae): 341 (1838)
  2. Illecippo™

    Lactarius indigo

    Nelle foreste degli Stati Uniti si trova il Lactarius indigo una specie non solo bellissima da ammirare ma anche commestibile! In America e negli Stati Uniti è conosciuto con tanti nomi: indigo milk cap, indigo lactarius, o blue lactarius, tutti nomi che richiamano in qualche modo la sua caratteristica peculiare: il colore blu intenso delle sue carni e del suo latice. Appartenente alla famiglia delle Russulaceae come tutti i Lactarius, questo fungo risulta essere molto frequente nell’America del Nord Est e in quella centrale, mentre è stato segnalato più volte anche in Asia. La sua scoperta Originalmente fu descritto nel 1822 come Agaricus indigo dal micologo americano Lewis David de Schweinitz; solo nel 1838 il padre della micologia, Elias Magnus Fries, lo trasferì all’interno del nuovo genere Lactarius. Alcuni studiosi tedeschi lo ribattezzarono Lactifluus indigo ma non ebbero grande risalto in campo micologico. E fu così che nacque anche la sezione Caerulei all’interno del genere, che raccoglie un numero limitato di lattari caratterizzati dal lattice blu e dal cappello concolore, come il Lactarius hemicyaneus. Un fungo curioso Il nome della specie, Lactarius indigo, deriva dal latino e significa bluastro. In Messico viene addirittura chiamato fungo azzurro o Hongo azul; il cappello misura da 5 a 13 centimetri di diametro, inizialmente è convesso e poi si sviluppa con una piccola depressione al centro. Il margine è debordante verso il basso e tende ad aprirsi a maturità. Il colore è blu intenso, con evidenti zonature circolari chiaroscure. A maturità tende ad ingrigire e a schiarirsi. Le lamelle sono adnato-decorrenti, spesse e fitte, di colore blu violetto, e secernono un latice di colore blu inteso dal sapore dolce. Il gambo è solitamente concolore o lievemente più chiaro del cappello, dalla consistenza gessosa ma cavo, con alcuni scrobicolature più o meno evidenti. Il sapore della carne è gradevole, simile a quello dei sanguinelli: dove è conosciuto gode di una buona fama culinaria e viene raccolto con frequenza; come i sanguinelli in Italia, negli Stati Uniti questo fungo è considerato delizia da taluni, mediocrità da altri. I lattari simili Il Lactarius indigo cresce sia nei boschi di latifoglia sia di conifera, in particolare nella stagione piovosa autunnale; è abbastanza frequente e talvolta cresce a gruppi di più esemplari. Visti i suoi colori sgargianti, non si tratta di una specie difficile da riconoscere. Gli somiglia il Lactarius paradoxus, di colore blu ma dalle lamelle rosseggianti; il Lactarius quieticolor, blu nel cappello e aranciato su gambo e lamelle e il Lactarius cyanescens e Lactarius mirabilis, due specie molto simili, ma rare e localizzate solo in alcune zone della Malaysia. Carta d’identità Nome scientifico: Lactarius indigo Sinonimi: Agaricus indigo, Lactarius canadensis Classe: Basidiomycetes Ordine: Russulales Famiglia: Russulaceae Genere: Lactarius Specie: indigo Cappello: 5-13 cm, inizialmente convesso poi depresso; margine debordante verso il basso. Il colore è blu intenso con evidenti zonature circolari chiaroscure; a maturità tende ad ingrigire e a schiarirsi. Lamelle: adnate o decorrenti, fitte, fragili, di colore blu-violaceo secernenti un latice dolciastro, di colore blu. Gambo: gessoso, cavo, da 2 a 6 cm di altezza, di colore blu chiaro o grigio con scrobicoli colore blu intenso. Carne: soda e consistente; di colore azzurro o blu chiaro. Odore e sapore gradevoli, dolci Habitat: Sotto conifere e latifoglie in autunno. Molto diffuso in Messico, America del Nord e Asia. Commestibilità: Considerato un buon commestibile, alla stregua dei sanguinelli. Lactarius indigo (Schweinitz) Fries Epicr. syst. mycol. (Upsaliae): 341 (1838)
  3. Grazie Piero, come si chiama e dove ti sei procurato quel libro? Nic
  4. Per dove abiti tu stef... cerca un olmo e ti farà ricco! lungo i fiumi, terreno sabbioso... ci sono eccome li vicino a Monza! Nic
  5. Che meraviglia, che meraviglia
  6. Non esistono limiti il punto è in quale cesto lo metti un coso da 29 kg? ahahahahahaa, credo che alla Valera gli piacerebbe un botto sequenziarlo
  7. Cresce piuttosto interrato, già. Fra l'altro esclusivamente in primavera... è alquanto curioso fa paura eeeee :wink:
  8. Credo che sia frequente così, la crescita è sempre aggregata mmm dici le "ginestre" ? ahahhhah la firma è uno spettacolo per i boleti... no problem, arriveranno :wink:
  9. Prego, a mio parere è una delle più versatili in cucina, io ci faccio anche gli gnocchi tipo quelli "alle ortiche" con patate, uova, poca farina, un pizzico di sale e questi spinaci sbollentati e triturati.
  10. Boletus rex-veris D. Arora & Simonini
  11. La crescita cespitosa è una delle caratteristiche particolari Andre Boletus rex-veris D. Arora & Simonini
  12. Illecippo™

    Boletus rex-veris

    Pochi anni fa veniva chiamato Boletus pinicola, come il nostro porcino; ma in America si trova un altra specie: il Boletus rex-veris. Tanti di noi si saranno chiesti sicuramente se in altri continenti esistono gli stessi funghi che troviamo nei nostri boschi. Ebbene, la risposta è ni, ovvero che alcune specie hanno le stesse identiche caratteristiche anche genetiche dei nostri miceti, altre non sono mai state segnalate in Europa e altre ancora… sono parenti strettissime dei nostri funghi che si differenziano però per alcune caratteristiche, sia macroscopiche sia microscopiche. Il “rosso” americano In California, e nei boschi di conifere di tutta l’America del Nord si può infatti trovare un particolare quanto affascinante porcino rosso. Somiglia molto al nostro Boletus pinophilus o pinicola, nome con il quale era fino a qualche anno fa conosciuto. Fino alla pubblicazione del libro California porcini, dove gli studiosi Arora e Simonini hanno dimostrato come vi siano differenze fra le entità scovate in America e i rossi trovati in Europa. Sia a livello ambientale che a livello microscopico e filogenetico. Alla fine delle “morel” Negli Stati Uniti è conosciuto con il nome di Spring King, o re della Primavera, perché compare quasi alla fine della stagione delle spugnole nere: questa particolarità esclusiva ne ha suggerito il nome scientifico, dal latino rex-veris ovvero re della stagione primaverile (in autunno non si trova!). Cresce sotto conifere, in gruppi di più esemplari quasi sempre cespitosi, caratteristica tipica di questa specie. Il colore del cappello varia dal rosato intenso al marrone beige, ma non mancano esemplari particolari il cui colore si avvicina molto a quello del Boletus edulis adulto. Il gambo è biancastro, tendente a diventare rosa a maturità, e presenta un reticolo concolore nella sua metà superiore. Bianco, sodo e buono I pori e i tubuli sono di colore bianco candido e a maturità diventano giallo crema, verdastri solo nei periodi molto piovosi. La carne è soda, bianca, immutabile, con odore fungino e sapore gradevole, dolciastro. Ottimo commestibile, alla stregua degli altri porcini “americani” o “europei”; tradizionalmente viene essiccato e successivamente utilizzato nelle varie pietanze. Se escludiamo forme decolorate particolari degli altri porcini conosciuti nelle Americhe, come il Boletus edulis, il Boletus aereus e il Boletus regius, non è confondibile con altre specie, sia per le caratteristiche peculiari sia per il periodo di crescita. Carta d’identità Nome scientifico: Boletus rex-veris Nome comune: Spring King (re della primavera) Divisione: Basidiomycota Classe: Agaricomycetes Ordine: Boletales Famiglia: Boletaceae Genere: Boletus Specie: rex-veris Cappello: da 9 a 20 centimetri, arrotondato, da emisferico a convesso; margine debordante e incurvato; viscido con tempo umido; dal colore rosato scuro o grigiastro tendente a diventare rossastro-marrone o addirittura olivaceo a maturita. Imenoforo: pori bianchi negli esemplari giovani, diventano giallo crema chiaro a maturazione, raggiungendo raramente tinte olivacee. Se pressati non cambiano colore; tubuli depressi adiacenti al gambo, concolori ai pori. Gambo: lungo da 5 a 10 cm e largo fra 2 e 7 cm, ha la base dalla forma leggermente clavata; robusto, di colore bianco tendente al crema-brunastro a maturazione; presente un reticolo concolore nella metà più prossima all’apice. Carne: soda e consistente da giovane, molla negli esemplari adulti. Bianca, dall’odore fungino e dal sapore gradevole, dolciastro. Habitat: cresce tipicamente in piccoli gruppi o esemplari cespitosi, sotto conifere in particolare del genere Pinus; fruttifica in tarda primavera, abbondante in alcune annate; spesso nascosto dagli aghi. Commestibilità: ottimo commestibile, adatto a tutti gli usi. Foto di Michael Wood
  13. Si, sono Boletus edulis di conifera, noi generalmente li troviamo con quell'aspetto. Arora e Simonini hanno fatto i soldi inventando nomi nuovi per i boleti californiani io non credo nemmeno a uno di quelli, ma chissà
  14. aahahah guarda che dobbiamo andare a Marzuoli lassù Grazie Maurizio!!!
  15. Pioppo bianco, l'è meglio Ossola... is going to be printed today. E spero di non aver fatto casino con le foto stavolta domani ti mando pdf! La rieducazione è gia dura e dolorosa, ho iniziato fisioterapia già venerdi, a 8 giorni
  16. Guarirò giusto in tempo per venire a tutti i tuoi rossi Impossibile giò, non mi voglio fermare! Se la montagna non va da maometto, maometto va dalla montagna. Se i marzuoli non vanno da ille, ille va dai marzuoli. Ergo: ille va dai marzuoli in montagna (con buona pace di maometto).
  17. Massi... per me è sempre stagione! Tu vedi di venire ai pranzi! Volevo scappare da un brutto ceffo in copertina Ciao Sm, 300 slm sotto pioppo bianco, rovere, castagno e rovi, in sponda assolata le giovani, in zone disinnevate i primordi... ai margini quelle grandi. Media ultimi 7 giorni +10.3° Nic
  18. Grazie Ale, in bocca a Lupo di Toscana non ce vojo finì però La stagione è lunga ma io adoro la primavera aldo! Forse le cannonate no, ma le pallonate in campo talvolta si
  19. Ti salutano Rob, più che fisico, direi bestiale, magari fossi come la bestia "julio baptista" della roma Grazie Luciano, mi raccomando, occhio alle aiuole dell'ospedale che fra poco spuntano i funghi gialli Prrrr.... ne trovo di più di te bischero!
  20. Da che pulpito non oso immaginare come siano grigie le tue domeniche Aahahaahah me lo ricordo, tre anni fa trovai due estivi dopo 13 giorni dalla operazione, l'aria di bosco (piano) fa bene Grazie Max, fatti sentire
  21. Illecippo™

    Tuber melanosporum

    Un team di ricercatori italiani e francesi ha scoperto la sequenza esatta del Dna del Tuber melanosporum, preziosa perla nera ipogea Dopo cinque anni di lavoro, ricercatori francesi e italiani hanno mappato il genoma del tartufo nero di Norcia, o Perigord o Tuber melanosporum. La ricerca è stata coordinata in Francia dal Centro Inra di Nancy , che ha pubblicato sull'edizione online di Nature del 28 marzo 2010 i risultati del loro studio, che in Italia ha coinvolto i gruppi Cnr di Torino e Perugia e le Università di Parma, L’Aquila, Bologna, Roma e Urbino. Le implicazioni della decodificazione del genoma di questo fungo che arriva a costare anche 1.500 euro al chilo sono molte. Genoma esteso «I risultati più sorprendenti dell'indagine sono in primo luogo quantitativi» afferma Paola Bonfante, ricercatrice dell'Istituto per la Protezione delle Piante del Cnr e dell'Universitá di Torino. «Il genoma del tartufo nero -continua la ricercatrice- è il più grande tra quelli dei funghi finora sequenziati, con 125 milioni di coppie di basi. Responsabili di questa dimensione del Dna sono sequenze ripetute di alcuni elementi genetici mobili detti trasposoni, che rappresentano il 58% dell'intero genoma». «I geni che codificano per proteine sono 7.500, di cui circa 6.000 trovano corrispondenza in altri funghi. Tuttavia, diverse centinaia di geni del tartufo sono unici e svolgono un ruolo fondamentale nella formazione del corpo fruttifero e della relazione simbiotica con la pianta ospite». Nel corso della ricerca, il genoma del Tuber è stato confrontato dai ricercatori con quello della Laccaria bicolor, appartenente a un gruppo di funghi diverso e già sequenziato dal team francese. Si sono evidenziate forti differenze nel modo in cui i due simbionti dialogano con le piante ospiti: ciò suggerisce che la simbiosi micorrizica abbia seguito strade evolutive diverse. Tracciarne la provenienza La sequenza genomica mette a disposizione migliaia di marcatori genetici che verranno impiegati per evidenziare polimorfismi genetici, ovvero le sequenze diagnostiche di Dna, nei tartufi provenienti da diverse zone e, le impronte genetiche così ottenute, permettono di tracciare i tartufi sulla base della provenienza, fornendo una sorta di certificazione del prodotto da usare anche come strumento anti-frode, nel senso della tutela prevista dalla legge 752 del 1985. I marcatori genetici forniscono anche informazioni essenziali sulle regioni del genoma responsabili dell'aroma, così apprezzato. Si potrà, entro breve tempo, definire un profilo genetico-molecolare che coniughi origine geografica e profumo dei tartufi neri, identificando le regioni e i geni che codificano gli enzimi responsabili della formazione dei composti volatili. Migliorare le coltivazioni L’analisi della sequenza genomica ha inoltre evidenziato il ridottissimo potenziale allergenico dei tartufi e l'assenza delle principali vie metaboliche responsabili della formazione delle micotossine. Secondo i ricercatori, grazie a queste informazioni la tartuficoltura potrà selezionare individui geneticamente caratterizzati con tratti organolettici particolarmente pregiati. Contro le frodi C'è anche un aspetto economico rilevante: con un aumento del 15 per cento delle quantità di tartufo Made in Italy esportate nel 2009, in controtendenza con l'andamento economico generale, la mappatura del genoma rappresenta una grande opportunità per valorizzare le identità territoriali del tartufo e per proteggerle dai tentativi di modificazione genetica e clonazione che sono in atto in Paesi come la Cina. Secondo l'organizzazione agricola, in base agli ultimi dati sul commercio estero dell'Istat, l'Italia ha esportato 124mila chili di tartufo conservato nel 2009. I risultati della ricerca possono dunque dare un importante contributo alla salvaguardia del legame con il territorio ma anche sostenere una lotta più incisiva nei confronti delle frodi e sofisticazioni. La micorriza Uno degli aspetti più curiosi della ricerca riguarda la «vita sessuale» e una conseguente capacità di riprodursi del tartufo nero. In realtà il ciclo vitale del tartufo e la comprensione dei meccanismi molecolari che stanno alla base della riproduzione non sono l'elemento più importante della decodificazione genetica, ma è molto interessante il concetto di micorriza, il tipo di associazione simbiotica tra il fungo e la pianta superiore: il ciclo biologico del tartufo prevede infatti un'interazione tra l’apparato radicale della pianta ospite e il micelio di tartufo. Le cellule del tartufo avvolgono l’apparato radicale della pianta formando una nuova struttura specializzata denominata ectomicorriza; questa nuova struttura permette di captare con più efficienza gli elementi minerali dal terreno. In genere, una pianta micorrizata mostra una crescita di peso fino a 2-3 volte la pianta non micorrizata. Inoltre, la presenza significativa di micorrize sull’apparato radicale di una pianta indica anche una buona qualità dell’ambiente dove vegeta la pianta. E il bianco? Sull’onda degli importanti risultati conseguiti, il gruppo leader francese ha presentato e ottenuto un finanziamento per un nuovo progetto rivolto al Tuber magnatum Pico, il tartufo bianco più pregiato al mondo e di cui la Francia non è produttrice. Nuove frontiere Avendo disponibilità di nuove risorse finanziarie, verso quali azioni dunque andrebbe indirizzata la ricerca? In seguito alla diminuzione della produzione delle tartufaie naturali e dei cambiamenti degli ecosistemi, si è verificato un incremento di frodi alimentari in Italia; per esempio un composto come il bismetiltiometano, che fa parte delle diverse molecole volatili che contribuiscono a determinare le specifiche caratteristiche organolettiche del tartufo bianco, se aggiunto ad altre specie di tartufo non pregiate può contribuire a confonderle con il Tuber magnatum. La disponibilità di nuove risorse finanziarie permetterebbe alla ricerca scientifica di perseguire principalmente due importanti obiettivi, quali la tutela del patrimonio tartuficolo naturale per salvaguardarne la biodiversità e lo sviluppo della tartuficoltura per permettere anche il recupero di aree marginali. Occorre anche sottolineare che questi tartufi, oltre ad essere apprezzati gastronomicamente, costituiscono per l’Italia una notevole risorsa economica ed un importante fattore di promozione turistico-ambientale. Carta d’identità Nome scientifico: Tuber melanosporum Divisione: Ascomycota Classe: Pezizomycetes Ordine: Pezizales Famiglia: Tuberaceae Genere: Tuber Specie: melanosporum Nomi comuni: tartufo nero, tartufo di Norcia, truffe de Perigòrd Corpo fruttifero: tondeggiante, di dimensioni e peso variabile. Gleba: di colore nero brunastro con sfumature violette; venature biancastre fitte e ben definite. Odore aromatico e gradevole, sapore molto grato. Spore: nere in massa, spinulate, con aschi globosi e peduncolati. Habitat: simbionte sotto roveri, lecci, carpini, noccioli in terreno calcareo. Da raccogliere fra dicembre e metà marzo. Commestibilità: Eccellente commestibile, fra i migliori funghi al mondo. Foto di Arturo Baglivo
  22. Eheeheh ti capisco Stef, ma guarda qui in liguria ne troviamo di alcuni che nulla hanno da invidiare molto interessante, io del P.sudanicus non ho mai visto una diapositiva Pietro, puoi darci qualche notizia? Un abbraccio Mediocre, ma da giovane è buono, solo un pò astringente dicono
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